Il test prenatale dell’amniocentesi
, attualmente non è solo più usato come strumento clinico per la ricerca di anomalie cromosomiche (come per la sindrome di Down) ma nei centri specializzati è anche possibile individuare tante altre malattie, genetiche e metaboliche.
Oggi il rischio di aborto che il test presenta si aggira intorno al 0,06% e dopo alcuni studi approfonditi tale limite può scendere ulteriormente se preceduto da una profilassi antibiotica somministrata alla madre (magari inconsapevolmente portatrice di qualche infezione).
I benefici nel poter riscontrare patologie neonatali, per molte donne, valgono il rischio (comunque minimo secondo le statistiche). Lo screening del liquido amniotico, secondo il Prof. Gorlandino (presidente della società Italiana di diagnosi prenatale e medicina materno-fetale) non può essere sostituito da altri esami medici, incapaci di garantire la stressa accuratezza nei risultati.
Di parere opposto è invece il dott. Basevi (dirigente del Centro per la valutazione dell’efficacia dell’assistenza sanitaria), che sostiene la validità di un esame combinato basato su indagini non invasive (come ecografie, esami del sangue dove rilevare la proteina plasmatica A e l’hCg) che riducono il campione statistico di donne a rischio di gravidanza con problematiche cromosomiche.
La scelta resta a libera discrezione delle coppie di futuri genitori, che è giusto abbiano tutte le informazioni necessarie per conoscere le alternative possibili, nell’interesse della salute del futuro nascituro e della mamma.